BIOGRAFIA

Ritratto di G.B. della Porta dal frontespizio della Humana Physiognomonia del 1586

GIOVAN BATTISTA DELLA PORTA (Vico Equense, 12 ? novembre 1535 – Napoli, 4 febbraio 1615), terzogenito di una nobile e ricca famiglia campana, ebbe tre fratelli, Francesco, Giovan Vincenzo, Giovan Ferrante, e una sorella, anche lei Giovanna, (Maresca, 2023) Leonardo (Nardo) Antonio, era proprietario terriero e armatore di navi. Possedeva tre vascelli di cui si servì forse l’imperatore Carlo V nella battaglia di Tunisi cui partecipò come capitano della fanteria anche il Principe Ferrante Sanseverino di Salerno. Per compensarlo l’imperatore lo nominò nel 1518, “scrivano di mandamento”, un importante incarico fiduciario della cancelleria vicereale riservato ai nobili il cui affidatario rispondeva esclusivamente al sommo Tribunale Collaterale con il particolare privilegio di una scorta di ben otto soldati. Tale privilegio, passato poi al figlio Gianvincenzo nel 1559, gli fu conservato da Carlo V nonostante la partecipazione alla congiura contro il viceré Pedro de Toledo. La madre apparteneva alla nobile famiglia calabrese dei Spadafora. Ebbe una figlia, Cinzia, che lo assistette negli ultimi anni. Geloso della sua vita privata, non ha mai fornito alcun indizio su un suo eventuale matrimonio. Frequentò le scuole pubbliche l’università, ma grazie allo zio materno, il celebre Adriano Guglielmo Spadafora (o Spatafora), (antichista e archeologo,  lavorò negli scavi di Cuma e Pozzuoli, catalogò i reperti rinvenuti e fu nominato prefetto del Regio Archivio di Napoli), fu circondato dai migliori intellettuali napoletani, come i medici reali di Napoli, Antonio Pisano e Donato Antonio Altomare, il filosofo e medico calabrese Domenico Pizzimenti. Fu educato anche alla scherma, al ballo, all’equitazione e alla musica, seguendone la teoria in una scuola esclusiva chiamata “scuola di Pitagora”. La famiglia, ricca e nobile, possedeva un palazzo a Napoli a via Toledo (il palazzo Della Porta), la “villa delle Due Porte” sulle colline del Vomero, oltre ad altri possedimenti, come la “villa delle Pradelle” a Vico Equense. Anche i fratelli, Giovan Vincenzo, maggiore di lui, e Giovan Ferrante, più giovane di lui, ebbero la stessa educazione. Quest’ultimo possedeva una enorme collezione di cristalli e di reperti geologici. Morì prematuramente. Il maggiore, Giovan Vincenzo, aveva ereditato dallo zio Spadafora l’amore per l’antiquariato e diventò un abile collezionista di busti, medaglie e statue. Il Nostro fin dalla gioventù viaggiò molto. Afferma Pompeo Sarnelli, nella biografia pubblicata nella nota A’ Lettori premessa all’edizione della Magia Naturalis del 1677, che “si diede a pellegrinare e caminò tutta l’Italia, la Francia e la Spagna, visitando huomini dottissimi e famose biblioteche, per trovare cose di nuovo e, ritornato nella patria, essaminò tutte le opinioni nella sua Accademia, registrando solo quelle che haveva provato per vere”. (cf. in questo sito https://centrostudigbdellaporta.altervista.org/i-luoghi-di-della-porta-3/ dove viene riprodotta per intera la biografia del Sarnelli e la lettera di Rodolfo II) Giovane ambizioso e intraprendente, a soli 23 anni, nel 1558, andò a Madrid a presentare a Filippo II, re di Spagna la sua Magia Naturalis sive de miraculis rerum naturalium libri IV pubblicata a Napoli che aveva iniziato a redigere otto anni prima, all’età di 15 anni. Nel 1589 l’opera fu ampliata in 20 libri. Essa, in qualche modo, diventa il manifesto del suo pensiero e metodo cui sarà fedele per tutta la vita: il mago naturale è colui che sa leggere i “miracoli” (nel senso etimologico di meraviglia, stupore, incanto) profondi e occulti che la natura svela solo a lui perché è l’unico che riesce, attraverso la ragione, a scoprire e sperimentare nuovi segreti. Pertanto i “mirabilia”, hanno sempre cause naturali. E, in maniera indiretta, lascia trapelare che i demoni non esistono nella realtà naturale, essendo solo una verità di fede. Anche nel caso di indemoniati. Tutto ciò che è attribuito al loro potere, appartiene, invece, ad un ordine comprensibile per vie naturali. Tuttavia nell’opinione popolare fu accompagnato dalla fama di “mago” nell’ambiguo significato di magia naturale e magia cerimoniale. Il Badaloni afferma che l’ambiente culturale frequentato dai della Porta favoriva proprio questo approccio alla filosofia naturale e mirava ad una sostanziale riforma della medicina, della morale e della religione.

Non fece molto per sfatare la fama di indovino. Tra i tanti episodi che racconta Francesco Stelluti, ricorda che, vedendo nella bottega di un pittore il ritratto di Enrico IV, re di Francia, ne preannunciò la morte che sarebbe avvenuta entro due anni e, vedendo quello di papa Paolo V, ne pronosticò un lungo pontificato. In altri casi, esperto di metoposcopia e di chirofisonomia, osservava le linee della fronte o le mani delle persone che incontrava e prediceva loro l’immediato futuro.

Personaggio controverso, fu ritenuto fino all’avvento del positivismo, uno dei maggiori alchimisti e scienziati europei, proprio per avere indagato già in pieno Rinascimento i fenomeni naturali secondo leggi esistenti nella natura stessa, come affermava anche Telesio: ovvero secondo coordinate e regole allora ritenute precise, esatte e scientifiche. Non a caso nel proemio del V libro della Magia Naturale scriveva: “Noi qui non promettiamo i monti d’oro, né quella famosa pietra di filosofi, così vantata per molti secoli e forse ritrovata da alcuno, né quello oro potabile, che preserva gli uomini dalla morte, perché in questo mondo alterabile e corruttibile, ogni cosa è sottoposta alla morte e prometter queste cose sarebbe un temerario e non di sano giudizio. Ma quello, di che vogliamo trattare, sarà solo, che abbiam visto e fatto con le nostre mani, prego i lettori se servino a buon fine, né incolpino noi della loro pazzia et ignoranza.

Anche nel trattato di astrologia (Coelestis physiognomonia, 1603), intende dimostrare che le stelle e i pianeti influenzano le persone esclusivamente per la loro composizione fisica elementare essendo le stesse qualità elementari simili nei pianeti e nelle persone. In una concezione del mondo dove esiste una corrispondenza (melothesìa) tra l’ordine del cielo e quello della terra, le influenze dei pianeti derivano dalla loro composizione fisica e qualità, ovvero dalla loro luminosità, forma e colore che, per sympathia, trasmettono alle persone.  Ad esempio, una persona, nata sotto il dominio di Giove che è luminoso, bianco e grande, sarà di forma “venerabile”, di “bei costumi”, di “lodevole colore, di capillatura mediocre” ecc.

Si interessò anche di fisiognomica, scienze della terra (indagò sui mari, venti, vulcani e terremoti), botanica, ottica (rifrazione), matematica (quadratura del cerchio), alchimia, metallurgia, magnetismo, criptologia, chirofisionomia, fitognomica, distillazione, cosmesi, profumeria, agricoltura, musica, medicina, fuochi d’artificio e bellici, costruzione di fortezze, ecc. Fu in rapporto epistolare con i maggiori personaggi, filosofi e scienziati del suo tempo: Giordano Bruno, Telesio, Campanella, Nicolas-Claude Fabri de PeirescUlisse Aldrovandi, Galilei, Federico Cesi, il card. Federico Borromeo, cui donò alcune sue opere per la erigenda biblioteca “Ambrosiana”. La sua fama sulle ricerche magico-alchemiche arrivò fino all’imperatore Rodolfo II che lo voleva alla corte di Praga (cf. la citata biografia del Sarnelli). A questo prestigioso invito lo scienziato napoletano risponde con la redazione della Taumatologia, una sorta di piccola enciclopedia dedicata all’imperatore il cui manoscritto, non avendo ricevuto l’imprimatur ecclesiastico, non vedrà la luce se non nel 2013 pubblicato da Raffaele Sirri per l’Edizione Nazionale.

I fratelli Della Porta trasformarono il loro palazzo a via Toledo in “albergo e ricetto di tutti i letterati che venivano a Napoli”, e “porto de’ litterati che habitavano o capitavano in quella città”. La loro dimora diventò una fucina di studiosi, scienziati e letterati dove si discuteva di filosofia naturale, ma soprattutto di curiosità scientifiche e di “miracoli” della natura. Il loro museo privato che raccoglieva esemplari rari di animali e custodiva piante esotiche come quello del farmacista e naturalista Ferrante Imperato a Palazzo Gravina, fu visitato dai più importanti viaggiatori che passavano per Napoli. E sull’esempio napoletano, il gesuita Athanasius Kircher fu spinto ad allestire una cinquantina d’anni dopo una analoga collezione a Roma.

Anche il fratello Gian Vincenzo aveva raccolto una collezione di libri, marmi e statue, parzialmente ereditata dallo zio Spadafora, come si può leggere nel testamento del Nostro. Scrisse Chioccarello (De illustribus scriptoribus..., p. 313) con una certa enfasi: “doctissimi et principes viri turmatim confluebant … ex Italia, Germania, Gallia, Belgio, Polonia, Hispania aliisque remotissimis regionibus, Neapolim” attratti da due celebrità: le Terme puteolane e i fratelli della Porta. Il card. D’Este lo accoglie come ospite d’onore alla Villa d’Este, il Cardinale e poi Granduca di Toscana, Ferdinando I è orgoglioso di avere rapporti con lui: gli invia addirittura un suo medico con una collana d’oro per ottenere alcuni segreti da lui scoperti. Il duca di Mantova andò a visitarlo più volte a Napoli intrattenendosi con lui fino alle tre o quattro di notte. L’imperatore Rodolfo II lo ammirò al punto che, come abbiamo detto, lo invitò alla sua corte.

Il medico, filosofo naturalista e matematico Nicolantonio Stigliola; il matematico, astrologo e filosofo Paolo Vernaleone (o Vernalione); il filosofo Tommaso Campanella, il medico di tendenze valdesiane Donato Antonio Altomare e il poeta Giulio Cortese erano assidui frequentatori ed animatori di quel sodalizio che si trasformò, intorno al 1560 nell’Accademia Secretorum Naturae i cui affiliati dovevano dimostrare di avere individuato nuovi “secreti” naturali. Scrisse Lorenzo Crasso negli Elogii d’huomini letterati (1666): “Ma nella propria casa haveva eretto una famosa Accademia, appellata de’ Secreti, dove non era ammessa persona alcuna, che celebre non si fosse renduta per esperienze già fatte, e che non vi portasse qualche secreto meraviglioso, e sopra l’intendimento comunale del Volgo.” Indagata dall’Inquisizione, l’Accademia fu costretta a chiudere nel 1579 su ordine di papa Gregorio XIII mentre solo a lui fu concesso di proseguire le ricerche scientifiche.

Sul processo che subì a Roma presso il tribunale dell’Inquisizione si sa poco per la scarsità dei documenti. Dati sicuri sono che il processo iniziò nel 1574 e terminò nel novembre del 1578 con lievi “purgationes canonicae”. Si può congetturare che sia stato accusato per l’ambigua attività “segreta” dell’Accademia con sospetto di cospirazione politica e di eresia, ma anche come astrologo o mago “venefico” per ciò che aveva scritto nel secondo libro della prima edizione della Magia Naturalis, ovvero, di conoscere i segreti della confezione dell’unguento con cui le streghe si cospargevano prima di partire per il sabba. A due anni dalla chiusura del processo, nel 1580, veniva ancora accusato da Jean Bodin nella sua Demonomanie des Sorcières di praticare la stregoneria e da questa infamante calunnia si difese con violenta determinazione nella introduzione all’edizione della Magia Naturalis del 1589. Si difese, ancora nello stesso volume, invocando l’ingenuità e l’esuberanza giovanile. Al contrario, egli voleva dimostrare che nell’unguento erano presenti anche sostanze allucinogene che procuravano effetti distorsivi di ipnosi, di dissociazione, di trance sulle povere donne.

Nel 1586 uscì presso Giuseppe Cacchi, un raffinato tipografo itinerante chiamato a Vico Equense dal vescovo Paolo Regio, la pregevole princeps della Humana Physiognomonia. Intanto il 5 gennaio di quell’anno papa Sisto V, per evitare ogni forma di determinismo, aveva emanato la Bolla Coeli et terrae Creator che censurava qualsiasi “scientia futurarum rerum” come arte diabolica ripetendo le condanne già pronunciate dalla bolla Summis desiderantes affectibus di Innocenzo VIII (1484). Il della Porta pubblica l’opera nel tardo autunno e, al fine di allontanare ogni ulteriore sospetto dottrinale, ripropone ed evidenzia nella dedica al suo protettore card. Luigi D’Este, ormai deceduto da qualche mese e conosciuto anni prima tramite il medico Teodoro Panizza, che la fisiognomonia è materia congetturale che non tocca il libero arbitrio: «Haec scientia coniecturalis est, nec semper optatum assequitur finem”. Stessa precisazione che farà nel trattato astrologico Coelestis physiognomonia del 1603. L’Humana in latino poi fu pubblicata in Francia e Germania. La traduzione italiana fu proibita, ma uscì nel 1598 a nome di Giovanni de Rosa, suo amico, prestanome e poi esecutore testamentario. E, a scanso di equivoci, lo stesso De Rosa compare anche nella traduzione della Magia Naturale del 1611. Essa si pone sia come un’opera per artisti, e, in particolare, per pittori al fine di fondare una topica di caratteri umani, sia per denigrare la folla di ciarlatani che pronosticavano il futuro. Sottolinea infatti che la Fisiognomica è una “scientia conjecturalis” e non deterministica.

La Magia Naturalis e la Humana Physiognomonia, furono le due opere che lo resero famoso in Italia e in Europa. Grazie all’enorme sviluppo della stampa in Europa, ebbero numerose edizioni latine in Italia (Napoli, Vico Equense, Padova, Venezia), in Francia, Germania e Belgio e furono tradotte anche in inglese, francese, tedesco e nederlandese.

Inventa o perfeziona nuove macchine. Tra il 1580 e il 1581 a Venezia collabora con Paolo Sarpi a costruire e perfezionare con l’aiuto di maestri vetrai lo specchio ustorio di Archimede e ricorda di aver trovato a Murano un artigiano capace di costruire uno specchio speciale. Nell’edizione del 1589 della Magia naturalis, riconosce di aver beneficiato delle conoscenze sul magnetismo di Paolo Sarpi iniziando a sperimentare i magneti. Inventa il sifone, che ha avuto tante diverse applicazioni nei secoli successivi anche negli impianti fognari e industriali; una incubatrice per uova di gallina che raggiunge risultati pari al 94% della produzione; scopre il principio del telefono nel senso che fino al Rinascimento si pensava che la voce andasse in una sola direzione. Egli scopre che la voce si può “piegare” e seguire un tubo curvo dal quale possono derivare altri tubi al punto che uno stesso messaggio possa essere ricevuto da più persone nello stesso tempo, lui dice: “a miglia di distanza”; inventò un nuovo tipo di alambicco, ancora oggi in uso, dove, da due beccucci possono uscire due prodotti diversi; nuovi codici di criptologia come nuovi linguaggi per comunicare con fiaccole di notte; un nuovo metodo di potabilizzazione dell’acqua di mare per i naviganti; scopre che il vapore è elastico e questo principio permise a Stephenson nel 1804 di inventare la locomotiva a vapore; tratta e descrive approfonditamente la camera oscura, scoprendo l’analogia tra questa e la struttura dell’occhio. La camera oscura è una scatola con un piccolo buco in cui penetra la luce che viene proiettata sulla parete di fronte dove, fissata una tela, il pittore ricalca quello che vede. Tutti i quadri di panorami, dal ‘500 in poi, furono eseguiti con questa tecnica. Scopre come produrre del vino gelato; trova nuove ricette mediche come l’utilizzo del guaiaco per guarire dalla sifilide, una recente malattia che allora faceva migliaia di morti; inventa con nuove formule di distillazione la preparazione di profumi sia con acqua che con olio; divulga nozioni di musicoterapia e contesta a Galilei il primato dell’invenzione del cannocchiale, come egli stesso scrive in una lettera a Federico Cesi nell’agosto del 1609: “[l’occhiale è] una coglionaria […] presa dal mio libro 9 de Refractione”. E in un’altra missiva, del 1614, ribadisce con veemenza che “l’inventione dell’occhiale in quel tubo, è stata mia inventione e Galileo lettore di Padua l’have accomidato, con il quale ha trovato 4 altri pianeti in cielo, e numero di migliaia di stelle fisse et nel rivolo latteo altrettante non viste anchora, e gran cose nel globo della luna, ch’empiono il mondo di stupore”. Fu consultato dalle autorità napoletane (viceré, capitani, ingegneri, ecc.) per l’efficacia e per l’efficienza delle fortificazioni della città, per la bonifica dei terreni, per l’essicazione degli stagni e sconsigliò di essiccare il lago di Agnano perché le acque trattenevano i vapori mefitici che diversamente si sarebbero liberati nell’aria.

Molte sue intuizioni trovarono conferme e sviluppi in scoperte dei secoli successivi. Studiò la chimica applicata ai materiali come la fabbricazione di cosmetici, di falsi gioielli, di smalti, di polveri da sparo (tra l’altro descrisse il principio delle bombe “a grappolo” indicando di sparare da un cannone un involucro con numerosi dadi e chiodi anche se, probabilmente, era un uso già diffuso).

Quasi tutte le sue opere sono costruite sullo schema compositivo di opere classiche come la Fisiognomica dello pseudo-Aristotele, i Meteorologica di Aristotele, la Tetrabiblos di Tolomeo, la Naturalis Historia di Plinio o il De re rustica di Columella, ecc.

Nel 1588, spinto in particolare dall’alchimista Oswald Croll, scrisse la Phytognomonica, un curioso trattato dove metteva in relazione le proprietà dei vegetali che interagivano per sympathia con il corpo umano secondo l’antica dottrina della signatura rerum, ovvero, attraverso l’osservazione delle corrispondenze, delle affinità e dei contrasti tra gli elementi della natura, si rileva quella “signatura” o “impronta” che svela le proprietà occulte degli elementi naturali, come è stato già proposto per la Coelestis Physiognomonia. Una sorta di anticipazione del concetto di “principio attivo” delle medicine. Nel 1592 pubblicava a Francoforte, inglobando il Pomarium, l’enciclopedia rustica, Villa, in dodici libri, lavoro che, come tante altre opere, aveva terminato da tempo e per il quale aveva ottenuto il permesso di essere stampata già dieci anni prima dall’imperatore Rodolfo II.

Egli non è mai stato medico, né si considerava tale. Tuttavia moltissime sue ricerche, soprattutto quelle descritte nella Magia Naturalis e nella Taumatologia, rientrano a pieno titolo nell’ambito dell’ars medica, come anche i suoi lavori sulla distillazione o sulla coltivazione delle piante medicinali. Le stesse ricerche alchemiche contenute nella Magia naturalis e nella De Distillatione, perseguono il benessere fisico della persona con rimedi di carattere farmacologico. I suoi studi di medicina tendevano alla ricerca di farmaci dagli effetti “meravigliosi” come, ad esempio, produrre sogni piacevoli o incubi, potenziare la memoria, cercare rimedi contro l’impotenza e la sterilità, ecc. Fu il primo a introdurre a Napoli la spagiria. Egli era affascinato ed entusiasta per il «gran Paracelso» e i suoi «dottissimi seguaci» perché questo metodo innovativo «produce al mondo rimedi non mai più per l’addietro caduti negli umani intelletti […] Onde da solleciti investigatori de’ secreti della natura applicati a morbi, hanno ritrovati soblimi ed infiniti rimedi, onde la medicina, così gran tempo ristretta negli angusti suoi termini, or, allargando fuori, ha ripieno il mondo de’ suoi meravigliosi stupori» (Taumatologia I, VIII, 5-16).

Il giovane Federico Cesi (1585-1630), appena un anno dopo la fondazione della sua creatura, l’Accademia dei Lincei, aveva conosciuto a Napoli nel 1604 l’anziano scienziato. Pur avendo interessi e curiosità scientifiche comuni, solo dopo un serrato corteggiamento da parte del Cesi, che riteneva il della Porta il maggior scienziato dell’epoca, e, pertanto, essenziale per imprimere dignità e prestigio alla nascente Istituzione, il 6 luglio 1610, con una solenne cerimonia, fu ascritto all’Accademia come esponente di primo piano. Fu il quinto socio e Galilei, altrettanto famoso, fu cooptato solo l’anno successivo. Dal canto proprio lo scienziato napoletano, dopo le numerose ingiunzioni inquisitoriali, sperava nei buoni uffici del giovane Federico presso il Maestro del Sacro Palazzo Apostolico per facilitargli in qualche modo la stampa delle sue opere, in particolare del De aëris transmutationibus dedicato allo stesso Cesi. E il nobile romano riuscì comunque a ottenere dimezzati i tempi di lettura da parte del censore ecclesiastico.

I legami con l’Accademia dei Lincei furono molteplici, soprattutto per l’ammirazione reciproca e gli affini interessi scientifici dei due protagonisti che spaziavano in tanti campi dello scibile dell’epoca. Con un raffinato fiuto di politica culturale, il principe romano intendeva espandere la propria istituzione a Napoli e in altre città italiane ed europee. Inviò più volte Francesco Stelluti a Napoli per trattare l’acquisto di una sede adeguata per una colonia Lincea da affidare all’amico napoletano insignito della carica di viceprincipe, carica ereditata poi, alla sua morte, da Fabio Colonna, celebre naturalista napoletano e uno dei primi lincei. Oggetto della trattativa per la fondazione della colonia napoletana era la donazione, alla morte del proprietario, alla sede dell’erigendo linceo napoletano della sua vastissima biblioteca i cui eredi comunque avrebbero potuto usufruirne. Non essendo chiara la cifra della devoluzione, il palazzo non si comprò e la biblioteca restò a casa del possessore.

Probabilmente fece parte anche di un’accademia letteraria dedicata alla letteratura dialettale napoletana (Schirchiate de lo Mandracchio e ‘Mprovesante de lo Cerriglio), attiva nel 1614.  Per qualche mese fu anche “principe” dell’Accademia degli Oziosi, fondata ufficialmente nel 1611 da Giambattista Manso, che raccoglieva intellettuali di grande rilievo come Giambattista Basile,  Giovanni Andrea Di PaoloFrancesco De Pietri, Giulio Cesare Capaccio, Torquato Accetto, Giuseppe Bernalli, Giovan Camillo Cacace, Ascanio Filomarino, Ferrante Imparato e il viceré, conte di Lemos: Pedro Fernández de Castro. Racconta il già citato Sarnelli che “Quale studio delle amene lettere fu così a lui geniale che anche ne’ più serii se ne mostrava amicissimo, e si conosce dall’haver egli con il marchese Gio. Battista Manso dato principio alla famosa Accademia de gli Otiosi, nella quale fiorirono i più bizzarri ingegni di questa città e regno. Ma non contento di questo, si diede a tutto studio a rendersi illustre con le scienze più grandi e più sode. Eccolo nelle scuole filosofiche. Eccolo non perdonare né a spese, né a fatica, per haver maestri i più grandi che si riverirono nell’età sua, sotto i quali si diede a filosofare, non altrimente per arricchirsi, ma bene impiegò i suoi hereditarii beni, che non erano pochi, solo per far acquisto della vera filosofia e rendere illustre la sua patria.”

Si dedicò al teatro e scrisse 29 commedie (ne restano 14, pubblicate dal 1589 al 1612), 3 tragedie (resta solo il Giorgio del 1611) e la tragicommedia Penelope (1611). Esse vengono redatte secondo lo schema delle commedie di Plauto e Terenzio, ma completamente ristrutturate dalla sua creatività, dove i personaggi sono disegnati secondo i dettami della fisiognomica e i nomi dei personaggi anticipano il loro carattere. Come drammaturgo, recentemente si sono scoperti influssi e/o agganci con il contemporaneo teatro spagnolo e con Shakespeare.

Negli ultimi anni soffrì di “mal della pietra” (calcolosi) che gli causò la morte a 79 anni, il 4 febbraio del 1615. Fu sepolto nella cappella gentilizia della sua famiglia nella chiesa di S. Lorenzo Maggiore a Napoli dove ora si conserva solo la pietra sepolcrale.

Poco si sa della sua vita privata. Dai ritratti nei frontespizi delle diverse opere si può vedere la sua figura a 50 anni e a 64 anni. Da altri ritratti, anche ad olio, si può ricavare la sua fisionomia che tuttavia egli descrive nella Humana Physiognomonia (V, 6, 44-52) definendosi “Homo ingeniosus”. Al di là della sua presentazione, era di salute fragile, soffriva di nefrite, non parlava quasi mai nelle riunioni, era geloso della sua indipendenza e libertà, oscillava tra momenti di depressione e di malinconia e momenti di allegra estroversione ed espansività. Generoso, non badava a spese se si trattava di ricerche scientifiche. Aveva un particolare affetto verso il fratello maggiore Gian Vincenzo con cui condivideva gli interessi e gli studi al punto che il Vernalione lascia intuire che le ricerche, realizzate dal fratello, da lui venivano ordinate e redatte. Anche di questo rende testimonianza lo stesso Sarnelli: “Haveva il nostro Gio. Battista un altro suo fratello, chiamato Gio. Vincenzo della Porta, avido similmente di Lettere, ma con genio differente: perché questi era facile ad inchiodarsi in un tavolino per sapere con lo studio quello che da gli Antichi era stato detto nelle materie filosofiche; quegli era d’un cervello specolativo, che non molto giocava nelle parole de’ Maestri, se prima una esperimentata evidenza non gliele dava a credere per vere. Fatta col suo fratello una giovevole unità, perché cordialmente s’amavano, Gio Vincenzo studiava, Gio Battista essaminava lo studiato; & in questa maniera si venne in cognitione di quelle verità che hoggi arricchiscono la Republica letteraria” . (cf. la biografia del Sarnelli già citata.)

Del resto un’analisi psicologica e psicanalitica tra i due fratelli si può scorgere nelle due commedie pervenute: Gli duoi fratelli rivali e I duoi fratelli simili. Non accettò la nuova rivoluzione copernicana, anche se i due fratelli furono consultati per gli studi preparatori alla riforma del calendario gregoriano del 1582.

Come sostiene Grmek, “il n’a jamais plus se défaire du “merveilleux” médiéval qui a charmé sa jeunesse”. Ed è in questa oscillazione tra l’uomo di formazione medievale e la curiosità del moderno scienziato che può a giusto titolo essere considerato uno dei maggiori rappresentanti degli albori dell’attuale pensiero scientifico. A Napoli non c’era biblioteca pubblica o privata che non avesse almeno un’opera di Giambattista. La sua fama oscillò tra la fama di stregone, di scienziato misterioso, e di autorevolissimo accademico dei Lincei e degli Oziosi. Tuttavia la sua popolarità calò nel Settecento per essere definitivamente dimenticato dagli scienziati positivisti, ma non dai romanzieri dell’800 (Balzac, Manzoni, Dumas, Mastriani, ecc.) la cui Fisiognomica era presente come convitato di pietra per la declinazione dei loro personaggi.

Solo l’Humana Physiognomonia, è sopravvissuta al tentativo di “damnatio memoriae” del positivismo ottocentesco, perché ha regolamentato e consacrato in un rigido schema tassonomico la topologia dei caratteri umani. E quest’opera ha costituito il background dei lavori di Lavater, Gall, Lombroso.

Dopo un silenzio durato una settantina di anni, la Fisiognomica dello scienziato napoletano viene riscoperta in una delle prime esposizioni del “Centre Pompidou” di Parigi negli anni ’70. Dal 1986, anno di un importante convegno svolto a Vico Equense, sua città natale, (nel 2015 un altro ne celebrava il centenario della morte) molti convegni, seminari, studi e ricerche si sono moltiplicati sulla sua attività ogni anno in tante istituzioni italiane e straniere. Oggi nuove suggestioni ed approcci alle opere di della Porta arrivano dagli studi di semiotica, dalle ricerche sulla psicologia delle passioni e degli affetti, ma anche dall’antropologia, come, nell’ambito dell’occulto, dagli studi storici sulla stregoneria, sulla magia e sulla demonologia. Ma stupisce il grande interesse manifestato soprattutto da studiosi stranieri, statunitensi e sudamericani, oltre che europei, israeliani e giapponesi, che hanno riscoperto negli ultimi decenni le opere scientifiche del nostro autore rivelandone anticipazioni, intuizioni e invenzioni che si svilupperanno negli anni e nei secoli successivi e che fanno di questo autore ormai una celebrità che travalica i confini nazionali.

Di della Porta scrive ancora Lorenzo Crasso nei citati Elogii: «applicò l’animo ad investigar gli arcani della Natura, o trascrivendo gli altrui ritrovati o molte cose inventando di proprio ingegno. Hebbe la Città di Napoli per Patria. […] arricchì gli studiosi per mezzo delle stampe di novelle osservazioni, e curiosità […] Non appieno contento della Filosofia, della Matematica e della Magia naturale, che a beneficio universale stampò più Libri, intese così bene di Fisonomia, imbevuta da lui ne’ fonti de’ Greci Scrittori, e Latini, che da quel che n’ha scritto, si conosce il suo gran valore. […] In predire gli humani eventi fu stimato l’Indovino de’ suoi tempi. Perloché sospetto alla Curia Romana perspicace osservatrice del suo Nome, e delle sue azioni, fu costretto non senza mortificazion d’animo a dar severissimo conto del suo sapere. […] Giunto a gli anni settanta di sua Vita, chiuse gli occhi alla luce nell’anno del Signore 1615, lasciando di sé quella fama, che non morirà mai presso i Posteri Virtuosi.”

Attualmente è in corso la pubblicazione, finanziata dal Ministero dei Beni Culturali, dell’Edizione Nazionale delle Opere di Giovanni Battista della Porta che è già arrivata a ben 20 volumi.

Alfonso Paolella

* Tutte le fonti di questa biografia si possono consultare nel settore “BIOGRAFIA” nella BIBLIOGRAFIA di questo sito, mentre i link per consultare gli esemplari originali di tutte le edizioni si trovano nella BIBLIOTECA DIGITALE.